Che cos’è il Welfare Aziendale

Con il termine Welfare aziendale si indica il complesso di scelte ed azioni che portano ad erogazioni di benefit da parte del datore di lavoro, al fine di fornire un sostegno concreto al benessere psicofisico dei propri dipendenti, migliorandone il clima aziendale, cosicché i dipendenti tutti possano produrre risultati migliori ed aumentare la loro efficienza.

Stare bene e far stare bene è l’intima essenza di ogni relazione umana in qualsivoglia ambito, dal privato al pubblico.

Del resto, Welfare proviene dall’ inglese antico “wel faran”, ossia ben progredire.

Maggiore è lo star bene in un contesto sociale, sentirsi valorizzati, riconosciuti, ricompensati per l’impegno profuso, sostenuti nella difficoltà e aiutati nella crisi e maggiore è il livello di evoluzione che, in modalità osmotica, passa dal singolo alla collettività e viceversa.

La possibilità, per le aziende, di inserire un incremento composto di servizi, invece, di incrementi salariali economici e monetari in favore dei dipendenti è stata prevista, per la prima volta, con la legge di bilancio 2016.

Già da tempo si parla di welfare aziendale come una derivazione del welfare ultranazionale; del resto, chi meglio del singolo imprenditore/datore di lavoro può conoscere i bisogni, le aspettative, i desideri dei propri dipendenti ed adoperarsi per il loro conseguimento? Chi più del datore di lavoro deve poter premiare i lavoratori per gli obiettivi individuali e collettivi conseguiti a vantaggio della crescita dell’azienda e del suo fatturato?

Accade per questo che in una prospettiva di integrazione del welfare aziendale rispetto al welfare pubblico, il datore di lavoro che offra una serie di servizi ai propri lavoratori, al fine di migliorarne il benessere, viene reso destinatario di un trattamento fiscale e contributivo di grande favore.

I servizi del welfare e suoi aspetti fiscali

Tutti i servizi rientranti nell’ampio paniere del Welfare aziendale sono accomunati da un’unica finalità sociale di istruzione, di benessere, di previdenza e di salute.

Si tratta di servizi rivolti non al singolo bensì a gruppi omogenei di dipendenti, che mirano tutti a migliorare la qualità della vita, nella convinzione che un lavoratore tendenzialmente appagato del proprio modus vivendi, renda più e meglio in ambito produttivo.

Rientrano nel welfare aziendale:

  • i servizi per la famiglia, quali, asili nido, scuola materna, agevolazioni mutuo, libri scolastici, cure mediche per i familiari, piani assicurativi medici, agevolazioni prestiti;    
  • i servizi alla persona, quali, buoni benzina, buoni per il trasporto, assistenza psicologica, piani assicurativi, corsi di lingue, shopping, corsi di formazione, ticket restaurant;
  • i servizi per il tempo libero, quali, palestra, piscina, bar, ristorante, feste aziendali, gite, viaggi, biglietti cinema, teatro, mostre.

L’elenco, ovviamente, non è esaustivo ed ogni servizio può entrarne a far parte, purché soddisfi la finalità di assicurare al lavoratore uno strumento di benessere.

All’interno di questo paniere di beni e servizi possiamo distinguere:

1) servizi sempre rimborsabili in busta paga dal datore di lavoro, purché si tratti di servizi autorizzati e rientranti nel welfare messo a disposizione dall’azienda. Vi rientrano le spese sostenute dal dipendente per l’acquisto di:

  • abbonamenti per il trasporto pubblico (art. 51 c 2 lett d bis) acquistati per il dipendente o per i familiari;
  • servizi per l’educazione e l’istruzione dei familiari (art. 51 c 2 lett f bis);
  • servizi per l’assistenza agli anziani e ai non autosufficienti (art 51 c2 lett f ter);

2) servizi e beni forniti direttamente dal datore di lavoro senza che il dipendente sia coinvolto nello scambio economico, non già in busta paga, esempio i voucher che non concorrono a formare reddito da lavoro dipendente e sono esenti da tassazione fino alla soglia di 258,23 € (solo per l’anno 2020 la soglia è elevata a 516,46 €).

Con una propria recente nota, l’Agenzia delle Entrate ha specificato che il valore di voucher e buoni spesa non risulterà imponibile nella sola ipotesi in cui al dipendente venga riconosciuta la possibilità di aderire o non all’offerta proposta dal datore di lavoro, senza, pertanto, poter pattuire altri aspetti relativi alla fruizione dell’opera e/o del servizio; non è, cioè, ammissibile una conversione in denaro, in quanto il welfare non nasce per fornire denaro in più ad un lavoratore, bensì per migliorare la sua prestazione, attraverso il sostegno ai vari ambiti di cui si compone la sua esistenza.

Circa i premi di risultato o di produttività, ovvero, di partecipazione agli utili per i lavoratori che abbiano raggiunto obiettivi e traguardi aziendali, con risultati notevoli in termini di valore aggiunto e visibilità dell’azienda, l’art. 51 del TUIR (Testo unico delle imposte sui redditi) stabilisce che, mentre concorrono a formare reddito e, pertanto, “sono imponibili, tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”, non concorrono a formare il reddito una serie di voci che concernono, appunto, una applicazione pratica della politica di welfare aziendale.

In sintesi:

  • ai premi produttività si applica un’imposta sostitutiva dell’IRPEF pari al 10%.
  • rientrano nell’aliquota agevolata solo i premi produttività fino a 3.000 euro, aumentabili fino a 4.000 se il dipendente viene attivamente coinvolto nella gestione del lavoro.
  • se, tuttavia, il dipendente decide di convertire il premio in denaro in servizi di welfare aziendale, allora opera una detassazione al 100%.

Attuazione del welfare

Affinché il welfare diventi una scelta di politica aziendale, è necessario, innanzitutto, che il datore di lavoro proceda all’analisi dei bisogni, delle necessità e degli interessi dei dipendenti, così da creare una composizione di servizi che incontrino le loro esigenze (invero, ci può essere il dipendente interessato all’assistenza medica per i figli e quello, invece, che opta per voucher viaggi).

Il passo successivo sarà l’analisi dei costi/benefici e della loro sostenibilità nel tempo, considerando la situazione dell’azienda e l’opportunità o meno per la stessa, di attivare il welfare.

Compiute queste indagini, il passo successivo è un atto di volontà del datore di lavoro.

Questa volontà si può manifestare in due modi:

  • attraverso un accordo con le rappresentanze sindacali interne all’azienda o territoriali;
  • attraverso un atto di volontà unilaterale del datore nella forma di regolamento aziendale irrevocabile per un determinato tempo, caratterizzato dunque da una completa autonomia del datore di lavoro e da una procedura più snella.

Quando il datore di lavoro opta per l’accordo con le rappresentanze sindacali, si possono avere due tipologie di welfare:

  • welfare puro: si definisce il ventaglio di servizi in convenzione e benefit che l’azienda offre e i dipendenti scelgono se e di quali servizi usufruire;
  • welfare misto: l’accordo con i sindacati prevede la possibilità per i dipendenti di convertire, in tutto o in parte, i premi di risultato in servizi di welfare.

Strumenti per attuare il welfare (le piattaforme)

Alle aziende che vogliano attivare un piano di welfare è consigliato di munirsi di una piattaforma, accessibile ai propri dipendenti mediante credenziali personalizzate, attraverso la quale rendere noti agli stessi i servizi offerti, le convenzioni attive e tutte le modalità per usufruirne. Molte di queste piattaforme offrono un servizio di full outsourcing, si occupano, cioè, anche della fase di analisi delle esigenze e delle relazioni con sindacati e lavoratori, si occupano di monitorare il rispetto dei limiti economici previsti dalla normativa in tema di imponibilità fiscale, verificare e conservare la documentazione in merito ai rimborsi, comunicare periodicamente i dati alle aziende.

I vantaggi del welfare

I vantaggi non sono legati solamente all’aspetto economico ma abbiamo:

  1. vantaggi per i dipendenti: aumento del potere d’acquisto, miglioramento del clima aziendale maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata;
  2. vantaggi per le aziende: diminuzione del tasso di turnover e di assenteismo, risparmi sul costo del personale, aumento della produttività;
  3. vantaggi per il Paese: creazione di un mercato di erogatori di servizi di welfare, emersione del lavoro nero.

Dati i tempi e la grave crisi occupazionale che imperversa, non sarebbe certo raro imbattersi in dipendenti oberati da mutui e esigenze di vita quotidiana che, potendo scegliere tra un pacchetto di servizi e un aumento della busta paga preferirebbero la seconda opzione e tuttavia, questo non sarebbe più welfare in senso lato e per di più, in un dipendente caduto nel loop del guadagnare il più possibile per mantenere se stesso ed i propri cari non creerebbe occasioni di distrazione e svago, con conseguenza che lo stipendio aumenta pure ma sicuramente tende a regredire la stabilità psicofisica di un soggetto con il risultato di uno scarso rendimento lavorativo. I tempi lunghi della pandemia e del lockdown che ne sta conseguendo, puntano i fari sui bisogni negati dei lavoratori, sulle sane abitudini interrotte e sulla fatica di conciliare lavoro e vita privata, spesso in pochi metri quadrati di casa, laddove si operi in smart working; siamo in quella che potremmo definire una emergenza di benessere ed è proprio agendo sul benessere psicofisico del lavoratore che aumenta l’efficienza e la produttività lavorativa che porta al successo aziendale e le risposte non devono assolutamente tardare.

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